RACE MATTERS

RACE MATTERS
di

La produttrice Céline Farmachi, che ha ritirato due premi per il cortometraggio 4 avril 1968, racconta la collaborazione con la regista Myriam Gharbi, l’assassinio di Martin Luther King e lo sviluppo di un progetto originale e potente

 

4 avril 1968 di Myriam Gharbi, nella sezione Razzismo Brutta Storia e Cortometraggi Africani, ha vinto i premi MoneyGram e ISMU. Abbiamo incontrato la produttrice francese Céline Farmachi che, gentile e appassionata, ci racconta la genesi di questo lineare ma potente cortometraggio. 4 avril narra l’incontro fra Sabine, una bambina di sette anni, e due Pantere Nere in una foresta in Guadalupa nel ‘68. 

 

La storia di una bambina che cerca la sua libertà è la metafora di un movimento molto più grande di lei. Come nasce l’idea di ricordare in questo modo l’assassinio di Marin Luther King?

La regista Myriam Gharbi stava lavorando con delle persone in Guadalupa. Là ha incontrato una donna con i capelli legati da numerosi fermagli che le ha spiegato perché il crespo dei capelli afro non è bello da mostrare. Questa semplice discussione le ha ricordato le idee legate al movimento Black Power e alla fierezza delle Pantere Nere. Il 4 aprile del 1968 è stata una data terribile ma allo stesso tempo rivoluzionaria, che ha scosso il mondo intero. Alla base della nostra riflessione c’è il concetto di unità oltre le frontiere della cultura black. Così come Sabine è sola nella storia, separata dalla madre, ed è costretta a diventare forte e indipendente per conquistare il suo posto nel mondo, allo stesso modo il popolo afroamericano ha sentito questa grande spinta ad affermarsi, proprio all’assassinio di uno dei suoi simboli e portavoce. Sabine porta il vento del cambiamento di una generazione giovane che vuole lasciarsi il passato alle spalle. 

 

Nonostante avvenimenti come l’elezione di Obama, credi che ci sia ancora ineguaglianza tra bianchi e neri?

Obama è un ottimo esempio dell’apertura mentale contemporanea, è il risultato delle lotte passate. Per me rappresenta un tipo di futuro ideale per Sabine e per le generazioni a venire, che tramite un processo di maturazione giungono all’autoconsapevolezza e rivendicano la propria libertà di scelta. Sabine, in realtà, potrebbe essere la madre di Obama, ma il messaggio che volevamo lanciare è universale e atemporale. Nel nostro film le Black Panthers erano giunte in Guadalupa a causa delle rivolte in USA, allora le condizioni e le discriminazioni erano molto forti e sempre esplicite. Anche se oggi non se ne parla tanto, c’è ancora disuguaglianza tra bianchi e neri. È diventata sottile e quasi inconscia, ma esiste ancora nella mentalità comune. La cultura black è estremamente diffusa nel mondo, ma per alcuni aspetti è quasi ideologicamente ghettizzata. 

 

Invece nel cinema credi ci sia uguaglianza?

Nel nostro film, abbiamo riscontrato molte difficoltà per organizzare delle proiezioni in Asia o in Russia, dicono sempre di non avere un pubblico abbastanza numeroso o interessato. In realtà, credo che il motivo sia che non sono ancora abituati a vedere, condividere e concepire il cinema africano al pari di quello di qualunque altra cultura. Probabilmente, nel caso della Guadalupa le motivazioni derivano anche da una mancanza di punti di riferimento come scuole di cinema, reti distributive e un settore di tecnici e lavoratori professionisti. 

 

Di quali aspetti tieni maggiormente conto quando decidi di lavorare alla produzione di un film?

Mi interessano molto le storie in cui c’è un’eredità identitaria e affettiva da trasmettere. Credo siano molto interessanti da esplicitare cinematograficamente le dinamiche tra diverse generazioni: piccole rivoluzioni umane attraverso la ricerca del proprio posto nel mondo e nella propria nazione. Come produttrice, inoltre, seguo lo sviluppo di un film dall’inizio. Se leggo una sinossi che cattura la mia attenzione non voglio aspettare che sia finita la sceneggiatura. Voglio intervenire attivamente nelle scelte dello script. Il ruolo del produttore per me comincia dalla prima frase della sceneggiatura fino alla proiezione del film in sala.

 

Quale è stata la maggior soddisfazione che hai avuto facendo questo film?

Tutti coloro che hanno lavorato a questo progetto sono per la maggior parte stranieri, è stata una grande sfida parlare di un altro Paese e di un conflitto razziale che, sia in termini temporali che geografici, non ci apparteneva. Quando abbiamo proiettato il film per la prima volta in Guadalupa e in Antille, ho visto la riconoscenza e l’approvazione dei locali e ho capito che avevamo fatto un buon lavoro.

 

Su quali progetti si dedicherà prossimamente?

Io e Myriam Gharbi abbiamo raggiunto un’ottima intesa professionale, ecco perché stiamo già lavorando a un nuovo film. Ci ha molto colpito la cultura di Guadalupa. Le persone del luogo sembrano i personaggi ideali per i temi che vogliamo trattare nel nostro nuovo film: una storia d’amore tra un uomo e una donna in cerca di un posto nel mondo. C’è anche un terzo personaggio: l’isola stessa! Nonostante la forte connotazione geografica, però, la storia avrà una portata universale, in cui possono riconoscersi tutte le donne del mondo.

Articoli recenti

Daily