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È qui per presentare il suo primo lungometraggio, Europe in 8 Bits, all’interno della sezione The Outsiders del MFF. Un film che ci accompagna alla scoperta di una nuova filosofia underground, il mondo della Chip Music. Un universo di deejay, producer e grafici che danno nuova vita a vecchie consolle e strumenti vintage della prima generazione di videogame, dal Commodore 64 al Gameboy. 

Nata in Germania alla fine degli anni ’80 e sviluppatasi nell’ultimo decennio, questa corrente musicale sta spopolando in tutta Europa. Da hobby per tecno-nerd sta diventando uno snodo importante della sottocultura cyberpunk. 

Ma dove finisce la musica e inizia la cultura, Javier? 

Facciamo tutti parte di una generazione allo sbando, perduta tra crisi economica e dramma occupazionale. Le pressioni sociali sono pesantissime e sempre più persone soffrono di depressione. Bisogna trovare qualcosa in cui credere e in cui canalizzare le proprie energie. I giovani che incontro nel mio film lo hanno fatto. Si esprimono attraverso la chip music, senza timore di essere giudicati, lo fanno in maniera naturale e spontanea. Hanno trovato il loro mondo. 

Per questo motivo la definirei una subcultura a cui sta aderendo un vasto numero di artisti internazionali. Con questi ritmi, sono curioso di vedere dove si arriverà fra 10 anni.

Tanti i riferimenti alla scena musicale italiana, anche nei nostri club si balla in 8 bits?

L’Italia è molto rappresentata nel film, vengono intervistati sei esponenti della Chip Music italiana. Sono amici che ho conosciuto mentre suonavano in Spagna. Ad esempio TonyLight l’ho incontrato a Valencia, mi ha convinto a seguirlo in alcune serate e così mi ha presentato gli altri artisti presenti nel film, come Kenobit e Mat64. La prima tappa in Italia è stata proprio Milano, ho filmato un concerto e alcuni scorci della città, come piazza Cordusio e la stazione della metropolitana. Dopodiché sono andato a Roma e in Sardegna. È stato molto divertente e le interviste sarebbero state molte di più, ma purtroppo non sono riuscito a inserirle tutte nel film.

Per quanto tempo hai lavorato alla realizzazione del film? 

Ho impiegato poco più di tre anni per lo sviluppo del progetto, di cui due per lo shooting e l’editing. A dire la verità, mi reputo ancora al lavoro perché è da novembre dell’anno scorso che giro i festival di mezza Europa e Stati Uniti per presentare il film e trovargli una distribuzione. Ma i risultati ci sono, il pubblico sembra entusiasta e sono davvero felice che il mio lavoro possa ispirare altre persone a fare arte.

A cosa ti riferisci?

Le persone che vedono il film il più delle volte non conoscono questo nuovo modo di fare musica, ma spesso gli piace e quando tornano a casa provano a collegare il vecchio GameBoy al pc per sintetizzare musica da soli.

Non mancano approcci alternativi alla tua analisi. Nel film cerchi anche di dare una visione psicologica e politica del fenomeno.

Sì, il mio intento è quello di fermare almeno per un momento l’attenzione dello spettatore sul tema del consumo di massa delle tecnologie e sull’idea errata che abbiamo circa la loro obsolescenza. Qual è la necessità che ti spinge a cambiare continuamente il modello di cellulare? Qual è il limite del suo utilizzo? Sei sicuro che ti serva solo per telefonare e far foto o puoi farci dell’altro? Non voglio far diventare il mio pubblico una banda di creativi o di scienziati, ma vorrei che per un momento si rendessero conto del reale valore di un oggetto.

La società cambia troppo in fretta. Il bisogno bulimico di possedere l’ultimo modello di telefonino o le abitudini d’acquisto dettate dalla velocità dell’etere distraggono l’essere umano dal rispondere a una domanda fondamentale. Quale è il senso di questa continua evoluzione? Il capitalismo controlla la tecnologia e il suo tempo di utilizzo e appeal sul mercato. 

The Outsiders

Europe in 8 Bits, gio. 11, ore 21, Parco Sempione