Gli spazi dell'Ex Manifattura Tabacchi ospitano l'evento La fabbrica fantasma, un progetto ideato dal regista Frammartino e sviluppato interamente dagli studenti della Civica Scuola di Cinema
Il regista Michelangelo Frammartino torna nei luoghi della sua formazione con La fabbrica fantasma, un progetto nato grazie alla direttrice Laura Giacobbi, sugli spazi dell'Ex Manifattura Tabacchi, ora Civica Scuola di Cinema. Lo intervistiamo in esclusiva per il Daily MFN: «Ho partecipato alla fase di ideazione, mentre i ragazzi della scuola hanno lavorato duramente per un anno. Rivedere gli studenti vestire le tute degli operai, rievocando quell'alleanza molto in voga negli anni della contestazione, mi ha particolarmente emozionato!».
Come nasce l'idea per un progetto sull'ex-Manifattura Tabacchi?
Un anno fa sono entrato nella fabbrica con gli studenti della Civica Scuola di Cinema e abbiamo avuto l'impressione che uno strano cerchio si chiudesse. La prima immagine in movimento della storia del cinema è l'uscita da una fabbrica, noi invece entravamo nel fuoricampo di quell'immagine. Proprio in quei giorni era scomparso Harun Farocki, grandissimo regista e teorico del cinema, che aveva presentato l'installazione Workers Leaving the Factory, dove sosteneva che lo spazio della fabbrica fosse l'assente del cinema. Abbiamo voluto esplorare questa assenza, cercando di far dialogare passato e presente, chi ha lavorato in questi luoghi per decenni e gli studenti che ora li abitano.
Perchè avete scelto di utilizzare la “realtà aumentata” (tecnologia che permette di aggiungere dati alla realtà percepita attraverso uno schermo multimediale, nda)?
Ci è sembrato il miglior sistema per intercettare questi fantasmi, anche se nel cinema le immagini sono sempre spettrali! Il gesto dell'interpellazione e dello sguardo in macchina da parte degli operai è molto cinematografico, meno legato alle installazioni.
Il campo della videoinstallazione non è una novità per te. Alberi è un tuo lavoro molto interessante che prende spunto dal rapporto tra rito, storia e tecnologia. Quale è il rapporto tra la tua poetica cinematografica, volta al riprendere la realtà, e le tecnologie digitali?
Il mio “battesimo” con l'immagine è passato dalla “tecnologia” perché risale alle installazioni e non al cinema. Da studente universitario mi avevano colpito tantissimo i lavori di Paolo Rosa e del gruppo Studio Azzuro. La mia generazione è cresciuta con le tv private ed eravamo sedotti da immagini che ti ipnotizzavano e ti immobilizzavano, anche per otto ore al giorno.
Incontrare il lavoro di Studio Azzurro obbligava a pensare. Lo spettatore era invitato a partecipare attraverso un'immagine interattiva che permetteva di dialogare con essa.
Quindi l'installazione precede il tuo lavoro con il cinema?
Sì, certo! La prima volta che mi sono trovato di fronte a un pubblico in uno spazio è stato con un'installazione. Circa vent'anni fa, mentre frequentavo la Civica Scuola di Cinema ho iniziato ad interessarmi ad altri linguaggi di allora oltre a quello cinematografico: multischermo, videoproiettore e le prime interfacce. Preferivo i sistemi a circuito chiuso, che rievocavano gli anni Sessanta e i primordi della videoarte. Le installazioni sono interessanti perché permettono allo studente di relazionarsi all'immagine come una presenza.
Com’è il tuo rapporto con gli studenti?
Ottimo, perché è un arricchimento che mi permette di capire come cambia il rapporto tra le persone e l'immagine: quali erano i film e gli autori amati nel corso dei decenni, quali sparivano e quali invece si affermavano.
Le tue principali fonti d'ispirazione?
Lo Studio Azzuro ha rappresentato per me soprattutto la possibilità di incontrare qualcuno che operava a Milano, molto più legato al mondo della moda, del design, della pubblicità, a differenza di Roma dove il cinema ha una sua struttura istituzionale. Sono cresciuto negli anni di Kiarostami e del cinema iraniano, negli anni Novanta di Tsai Ming-liang. Ovviamente apprezzo moltissimo anche i grandi maestri del passato come Dreyer, Dovzhenko, Paradžanov, Rossellini. Tra i contemporanei seguo con ammirazione Reygadas, Dumont e Roy Andersson.
Da dove viene il tuo interesse per le realtà dimenticate del Sud Italia?
Sono luoghi che la storia del nostro Paese ha destinato alla scomparsa. Sono calabrese e per me è anche una questione di appartenenza.
Hai qualche altro progetto in cantiere?
Fino a due mesi fa sarebbe stata un'anticipazione adesso non so se è un'epigrafe. Stavo lavorando a un Pinocchio alla rovescia, la storia di un uomo che diventa un albero ambientato nella terra dei culti arborei. Non credo che abbia senso parlarne per ora.
La fabbrica fantasma, Ex Manifattura Tabacchi, sab 19 ore 18.00-20.00, dom 20 e lun 21 ore 11.00-20.00, viale Fulvio Testi 121
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