San Siro di Yuri Ancarani è il racconto magico di quello che si cela dietro le quinte dell'arena milanese. Abbiamo incontrato l’autore, alla vigilia dell’inaugurazione alla GAM
Con San Siro Filmmaker 2014 rompe gli argini e conquista nuovi spazi. Lo fa con un’opera insolita, a metà fra videoarte e cinema, un film che si muove fra astrazioni simboliche e una narrazione tradizionale. Il tema è l’esplorazione della realtà meno visibile dello stadio, quella dei lavoratori che mantengono e curano la struttura.
Che lavoro c’è alle spalle di San Siro?
L’idea è nata all'interno di Arte Visione, progetto di Careof DOCVA e Sky. Quello che veniva richiesto era un progetto legato al mondo della televisione. Ho cominciato seguendo le cinemobili che si piazzano nel parcheggio intorno allo Stadio. Sceso dal furgoncino, ho chiesto i permessi per visitare lo stadio e capire che cosa c’è dietro l’organizzazione di una partita di calcio. I permessi mi sono stati negati più volte e mentre si accumulavano i “no”, sentivo che il soggetto si faceva sempre più interessante. Grazie anche ai finanziamenti provenienti dal progetto CinemaXXI di Roma, sono riuscito a portare avanti le riprese e - con molta pazienza - ad aprire tutte le porte dello stadio. Probabilmente riprendere a San Vittore sarebbe stato più semplice.
Non dev’essere stato semplice, invece, girare con i giocatori.
Girare con la squadra del Milan è stato meno complicato perché i ragazzi erano tutti molto disponibili: è stato difficile sicuramente avere l’ok, ma era prevedibile. D'altra parte non potevo limitarmi a filmare un parcheggio vuoto, no? Per fortuna hanno capito che affinché il film funzionasse, era necessario mettere “in campo” anche i calciatori. La mia intenzione non era comunque quella di sfruttare la loro immagine per pubblicizzare il film, dato che non erano i soggetti del racconto che stavo facendo. La loro presenza era però necessaria per dare maggiore credibilità e compiutezza alla macchina che tiene in piedi una partita: una macchina invisibile che nessuno ha mai visto.
Come nel mondo del cinema.
E come in moltissimi ambiti. Quando vedi un prodotto finito non ne conosci mai la genesi, c’è sempre una squadra di persone dietro a un lavoro.
Come hai scelto le inquadrature? Che aspetto dello stadio trasmette la fotografia?
Io utilizzo le inquadrature per dirigere il racconto, non uso tanto la parola, ma lavoro sulle immagini, sposto lo spettatore dove mi interessa. Sfrutto l’immagine per raggiungere questo obiettivo. La sensazione che ho avuto è quella dello stadio come luogo di massima sicurezza. Nonostante gli spazi aperti avvertivo un senso di claustrofobia, come se non ci si potesse spostare di dieci centimetri. È un’impressione che emerge inconsciamente durante il film: nelle inquadrature non c’è spazio per l’orizzonte, si è oppressi in un luogo chiuso.
Lo stadio non dovrebbe essere un luogo di festa?
Non rappresento un’unica realtà, ma lavoro con più chiavi di lettura. Mi interessa raccontare le tensioni sottostanti, le ambiguità, qualcosa che non sia completamente chiaro. Ho guardato allo stadio come a un tempio pagano in cui ogni domenica si va a pregare, più che a un luogo di festa. San Siro rappresenta un posto in cui si ha bisogno di andare per scaricare energia. È un luogo di culto.
L’opera si concentra sul mondo dei lavoratori.
Tutto il film si basa sulla poca chiarezza di queste figure, sono indefinite. Come l’ambiguità del giovane con il piede di porco che apre il film. Le ombre di questi personaggi si definiscono andando avanti, solo nel tempo si comprendono le loro mansioni. Esiste tutta una simbologia da leggere nella descrizione dello stadio, ne esce una sorta di Gotham City. Ma San Siro è davvero bello, diciamocelo. Un edificio la cui architettura è stata eccitante da studiare e da animare. Ho trascorso l’intero campionato a salire e scendere per filmare l'apertura dei cancelli e l’entrata dei tifosi. Solo alla fine mi hanno informato dell’esistenza di un ascensore…
Quanto sono durate le riprese?
Ho seguito la stagione 2013/2014, ma le immagini sono montate in modo che sembri una sola giornata, prima della partita. La scena del cancello l’ho girata in quattro sabati. Era molto complicata, ma fa capire che cosa sono i calciatori: il loro pullman deve entrare in una stanza serrata da un cancello, all'interno di un garage sotterraneo e interno allo stadio. È incredibile!
Il film si interrompe con l’arrivo dei giocatori.
Quando entra in scena la prima telecamera della tv, la mia camera si spegne. Perché da quel momento iniziava una parte di realtà pubblica. Il backstage, in fondo, è stato solo un pretesto. Mi interessava tutto il vortice di lavoro e di spostamento delle persone verso lo stadio, come un pellegrinaggio. Fra l’altro Mario Balotelli non si era nemmeno accorto che lo stavo riprendendo alle spalle con la steadycam.
San Siro viene presentato alla GAM come installazione: ci puoi dire qualcosa a riguardo?
Più che un’installazione è un allestimento per far vedere San Siro in un luogo speciale per la città, un modo per dare importanza a un “piccolo” lavoro. È frutto della volontà di spiegare che ci sono film di breve durata che hanno la stessa importanza di un lungometraggio; è uno sforzo che fa Filmmaker e di cui sono contentissimo. L’approccio all’opera nell’arte è diverso da quello richiesto dal cinema. La visione di un film di 25 minuti in una galleria richiede uno sforzo impegnativo. Per questo tutto deve essere perfetto, senza sbavature. Sintesi e forma sono le regole principali.
Tu frequenti quel tempio pagano che è lo stadio?
Purtroppo non sono un tifoso. Vedo amici tifosi che credono fortemente nel calcio e ne sono contenti. L’uomo ha bisogno di credere in qualcosa. Abbiamo bisogno di seguire.
Personaggi come Mario Balotelli? È il sacerdote di questo tempio?
Non un sacerdote, ma un gladiatore, una vittima pronta al sacrificio. E per rappresentare questo ho deciso di lasciarlo nel silenzio totale, solo, con il suo trolley.