ZONE NON DEFINITE

ZONE NON DEFINITE
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Nelle ultime settimane sono stato coi miei spettacoli in Israele, in Romania, in Belgio, e da ieri sono a Napoli, dove al San Carlo stiamo provando Madame Butterfly. C'è qualcosa che accomuna tutti questi paesi, ognuno di loro appare diviso in zone, segnato da una separazione politica e culturale che orienta la vita quotidiana.  

A Gerusalemme si passa da una parte all'altra della città, quella ebrea e quella araba, Israele e Palestina in guerra tra loro.

A Bruxelles ci sono i fiamminghi e i francesi e, se nel quartiere di uno parli la lingua dell'altro, ormai quasi non ti rispondono.

L'altro giorno, qui a Napoli, ho visto un ragazzo indiano che vendeva granite in strada. Forse il suo gusto al pompelmo era sintetico ma con la sua musica e il resto appariva integrato nella città. Mi è venuto in mente che lo stesso indiano a Vicenza, o in una qualsiasi altra città leghista, dove si sono eliminate le panchine per impedire ai senza casa di riposarsi, sarebbe stato cacciato o quantomeno tenuto a distanza.

L'attitudine a separare, a dividere in settori, riguarda anche, o forse soprattutto, la sessualità. Ma la vita è più grande di questo. 

Nel nostro paese, dove l'omofobia è ancora forte e ben radicata, è senza dubbio importante battersi per i diritti degli omosessuali. Al tempo stesso però l'attraversamento delle «zone» del desiderio dovrebbe essere naturale. Maschile/femminile dovrebbero essere categorie ormai messe da parte. 

Il personaggio di Madame Butterfly, forse perché in questi giorni sto provando a scoprirne «zone» diverse, è in questo senso abbastanza emblematico. Per amore si uccide: all'inizio mi faceva quasi rabbia, avrei preferito che a morire, magari d'infarto, fosse il tenente Pinkerton. 

Quel suo gesto però ha anche qualcosa di eroico, mi fa pensare all'assoluto di Mishima. É un gesto femminista, simbolico, anche se sono sicuro che Puccini sarebbe d'accordo con me sul fatto di far morire Pinkerton.

Si dice che le donne soffrono per amore perché sono più fragili degli uomini. La verità è che in genere gli uomini preferiscono non affrontare il dolore, le donne invece non ne hanno paura, forse perché se lo portano dentro, partorire un figlio è dolore... 

In questi stessi giorni sto lavorando su Bernard-Marie Koltès. Finora non avevo mai portato in scena i suoi testi, ma sono molto amico di suo fratello, Francois, e questo mi ha dato la possibilità di accedere a tutto ció che ha scritto. Mi ha colpito la sua vita, il rapporto carnale che Koltès ha col mondo, questa sua libertà nel battuage...  Si buttava nelle cose e a sua madre che gli scriveva: «Tu parli sempre di sesso» rispondeva «C’è più purezza negli incontri occasionali che nell'amore». 

Le zone dunque non sono mai definite, nessuno di noi è completamente dentro a una zona, tutti da qualche parte abbiamo qualcosa di represso, di non chiarito, ma nella sfera della sessualità la confusione può essere solo piacevole. 

E invece nel sentire comune la sessualità è sempre angosciante, si deve definire, circoscrivere, come l'amore.

Tra me e Bobò c'è una storia d'amore, ma questo non significa che facciamo sesso. Si può amare senza sesso, e fare sesso senza amare e invece siamo tutti lì sempre a cercare l'etichetta con cui definire qualsiasi incontro.

Nei miei spettacoli non c'è una sola coppia «normale», e la famiglia di Gente di plastica esplode.

Bobò è sordomuto, parliamo col linguaggio dei segni, ma lui sa bene come farsi capire; se per esempio gli dò la zuppa di verdure che lui odia la mangia con la forchetta, e ci mette due ore. La volta dopo non gliela do più.

Ecco la vita è questo, più grande di tutto, perché costringerla a un solo corso?

 

 

 

 

 

 

 

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