Adriano Valerio, appena tornato dalla Mostra del cinema di Venezia (Settimana della Critica), partecipa al MFF con l’interessante cortometraggio Agosto, oggi al Teatro Studio Melato. Abbiamo avuto l’occasione di incontrarlo per parlare del suo cinema
La purezza delle immagini, la poesia dei silenzi e una regìa sensibile a ogni dettaglio. Questi sono alcuni degli elementi che caratterizzano lo sguardo di Adriano Valerio, filmmaker emergente, è appena tornato dalla Mostra del cinema di Venezia dove ha presentato nella sezione Settimana della Critica il suo primo lungometraggio Banat (Il viaggio). È in concorso al Milano Film Festival con il recente cortometraggio Agosto, storia di due fratellini che ingannano il tempo e la noia estiva in un piccolo paesino dell’astigiano.
Com’è nato Agosto?
Ho avuto l’opportunità di girarlo in occasione del progetto Monfilmfest di Monferrato, in cui si deve realizzare ogni opera nel tempo massimo di una settimana. La fase di scrittura è stata dunque molto esigua, l’80% del film è pura improvvisazione. Quest’estate ero in Italia con la mia compagna, che è anche la co-regista del film, l’artista Eva Jospin e con i suoi due figli, che sono diventati i protagonisti del corto.
L'estetica del linguaggio visivo in Agosto è una sorta di tema portante in cui la storia è fatta dall’improvvisazione dei giochi dei bambini. Come hai lavorato con i due giovani attori?
Non c'è una vera sceneggiatura, la linea drammaturgica che abbiamo seguito è stata pura improvvisazione. Lavorare con i bambini è estremamente interessante, tutto è un'osservazione dei loro comportamenti, dei loro piccoli esperimenti, dei litigi, del fare pace. Sono quasi come due piccoli innamorati, che un po’ si odiano, un po’ si amano ma si cercano sempre. Anche la scena della gara di parolacce è una loro totale improvvisazione. Sul set sono stati naturali, agevolati dal fatto che eravamo soltanto in quattro: oltre a me e alla madre, c’erano solo il fonico e il direttore della fotografia.
Il finale è aperto a molte interpretazioni. A me sembra una metafora del passaggio all’età adulta, che coincide con la fine dell’estate.
Ho ricevuto molte interpretazioni diverse e interessanti. In realtà, l’idea originale è stata quella di concepire il gesto liberatorio dei bambini come un semplice suggerimento che però non svela nulla, restando libero all’interpretazione.
Quali sono le tue ispirazioni?
Credo di essere un buon osservatore della realtà, mi piace scoprire la storia dei luoghi e delle persone. Molti dei miei film sono ispirati a storie che mi hanno raccontato amici o conoscenti e ho cercato di portare sullo schermo, come il mio ultimo film, Banat. È stato un amico a raccontarmi questa sorta di immigrazione “al contrario”: la storia di un italiano che va in Romania.
Proprio con Banat, tuo lungometraggio d'esordio, sei stato l’unico italiano in concorso alla Settimana della Critica a Venezia.
Uno degli aspetti più belli ed emozionanti è la ritualità della proiezione: uscire dall'Excelsior, percorrere la scalinata, entrare in sala, sedersi. Poi si spengono le luci. È un protocollo puro, certo, contrapposto alla reazione del pubblico che è sempre una sorpresa.
Puoi dirmi qualcosa dei tuoi prossimi progetti?
Indubbiamente lavorerò presto a un altro lungometraggio, ma non voglio aspettare di ricevere i finanziamenti, nel frattempo girerò altri corti. Il cinema per me è allo stesso tempo una ricerca e un’esigenza.
Agosto di Adriano Valerio e Eva Jospin, cortometraggi Gruppo C, mart 15, ore 20:30, Teatro Studio Melato, gio 17, 15:00, MIMAT
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