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TREDICI VOCI PER UNA CITTA'
di Asia Carnevale

Intervista a Francesco Virga, produttore dei due cortometraggi italiani del film collettivo appena uscito al cinema: "Un progetto eterogeneo e imprevedibile, una sfida riuscita"

In occasione dell’uscita in sala del film collettivo I ponti di Sarajevo, presentato al 67° Festival di Cannes nella selezione ufficiale, il daily del Milano Film Network ha intervistato Francesco Virga, produttore con la MIR cinematografica, dei due corti italiani di Leonardo Di Costanzo e Vincenzo Marra.

13 autori di nazionalità e ascendenze diverse che attraverso la propria sensibilità raccontano la storia e la gente di Sarajevo, dalla scintilla della prima guerra mondiale ai giorni nostri.

Un progetto collettivo per raccontare Sarajevo. Com’è nata l’idea?

Jean-Michel Frodon, critico cinematografico e creatore del Sarajevo Film Festival è l'ideatore del progetto. In prossimità del centenario dello scoppio della Grande guerra, ha voluto rappresentare Sarajevo attraverso le voci di diversi cineasti, scegliendoli tra quelli che avevano un rapporto non occasionale con la città. Il primo a essere coinvolto è stato Jean Luc Godard, ma Frodon ha cercato gli sguardi più interessanti per raccontare la "città delle ripartenze", dove gli esseri umani cercano di ricostruire una rete di rapporti quotidiani dopo la tragedia della guerra.

Leonardo Di Costanzo e Vincenzo Marra: per quale ragione li ha scelti?

Avevo appena visto L'intervallo di Di Costanzo, conoscevo il suo lavoro di documentarista e pensavo fosse perfetto per la natura del progetto, sia per la sensibilità artistica che per il rapporto cinematografico con la realtà. Marra, invece, è stata una proposta venuta direttamente dalla Francia: avevo apprezzato i suoi lavori, ma non lo conoscevo personalmente. 

Come sono stati scelti i soggetti? Gli autori hanno avuto carta bianca?

Leonardo ha un rapporto di lunga data con lo scrittore Maurizio Braucci (che ha appena vinto il David di Donatello per la Miglior Sceneggiatura per Anime Nere di Munzi, ndr), un attento indagatore della realtà che però questa volta ha suggerito di adattare il racconto di Federico De Roberto, La paura. Io l’ho trovato subito molto bello perché racconta cose che il nostro cinema ha trascurato, la guerra in montagna dal punto di vista dei soldati di fronte alla fabbrica della morte. Il valore dell'episodio di Di Costanzo, rispetto agli altri, è quello di porsi una riflessione spregiudicata sulla prima guerra, parlando della nostra storia. Con Marra invece abbiamo scelto di raccontare una toccante storia di esilio attraverso attori non professionisti: due persone di mezza età, nate e cresciute a Sarajevo che da vent’anni abitano a Roma e che hanno vissuto effettivamente ciò che raccontano. 

Tra produttori c'è stato molto più scambio che tra registi. Come avete collaborato e quali erano le esigenze produttive da rispettare? 

Il progetto è nato in Francia con Ciné TV che ha fatto da collettore per i finanziamenti pubblici europei e ha rappresentato il vero interlocutore dei produttori dei vari Paesi. Due sole le regole: ogni film non doveva costare più di 60000 €, comprensivi del compenso fissato per il regista, uguale per tutti e ogni produttore doveva trovare sul proprio territorio i finanziamenti. La cornice produttiva finanziaria era ben precisa, ma chi è del mestiere sa che incubo può essere un coproduzione che coinvolge sette Paesi! Tra i produttori c’è stato molto scambio, volto soprattutto a uniformare il ragionamento sul film, in relazione a come potesse essere percepito dal pubblico. La bellezza del progetto è uno sguardo molto ricco e articolato, sia per i periodi storici dei racconti che per registri drammatici. Il rovescio della medaglia è l'imprevedibilità della percezione di un film così eterogeneo. 

Come è stato accolto il film nei Paesi in cui è uscito in sala?

Il film è uscito in Francia, Svizzera, Portogallo, Bosnia e ora Italia. È un film definito “arthouse”, destinato prioritariamente al circuito dei festival internazionali, dove è sempre stato premiato. Per esempio, qui in Italia al Festival di Pesaro, abbiamo ricevuto il premio del pubblico.  

E a Sarajevo?

La ricezione del film è stata molto buona, grazie anche alla credibilità del nucleo promotore di intellettuali e attivisti culturali. Tutta gente che era a Sarajevo nei momenti più drammatici della sua storia. Alcuni episodi sono stati presi con una grande partecipazione e si sentiva la forte empatia del pubblico in sala.

Vedremo il film anche in tv?

Il film è stato realizzato in doppio formato, come lungometraggio e come collezione di corti. Il primo verrà trasmesso su un canale tematico Rai, mentre gli episodi passeranno su un canale generalista. A giorni Rai Cinema ci comunicherà il programma: un'occasione in più per chi non l'ha ancora visto!