FUORI FORMATO, UN’UNICA NARRAZIONE DI FILM IN FILM

FUORI FORMATO, UN’UNICA NARRAZIONE DI FILM IN FILM
di

Tommaso Isabella, curatore della sezione che riunisce il cinema sperimentale e di frontiera, racconta come ha favorito gli incontri tra realtà e stili diversi 

 

Il lavoro di selezione che precede il Festival è lungo e complicato, come racconta Tommaso Isabella, curatore della sezione Fuori Formato. Nulla è lasciato al caso nella struttura di un programma che vede la presenza di lavori da tutto il mondo. Lo abbiamo incontrato.

  

Quali sono i criteri su cui ti sei basato per selezionare i film?

Presentare dei lavori recenti, perché per quanto riguarda il passato il festival ha già la sezione Omaggi. Fuori Formato prende in considerazione quello che è stato prodotto nell’arco di questo anno. C’erano alcuni film dell’anno passato che avrei voluto inserire, ma ho cercato di attenermi a questo primo criterio per la selezione. Riferimenti forti sono festival internazionali vicini al circuito delle produzioni sperimentali, come Rotterdam, Oberhausen, Toronto e in generale rassegne nelle quali emerge un forte legame tra il mondo dell’arte contemporanea e quello del cinema. Mi piace questa dimensione che è un po’ più a misura d'uomo rispetto alle grandi manifestazioni come Cannes e Venezia. Credo sia importante creare connessioni e strutturare un programma che sia coerente sia per il pubblico sia per gli artisti. Poi l’obiettivo è portare film di qualità, rappresentativi in qualche modo di tendenze attuali. La sfida è trovare un buon equilibrio tra il gusto personale del curatore e tutti questi aspetti.

  

C’è stata l’intenzione di isolare delle tematiche in modo da creare un percorso per il pubblico?

Più che un percorso tematico preferisco pensarlo come una narrazione che si svolge attraverso i diversi film. Per esempio Return to Aeolus Streetdi Maria Kourkouta utilizza un linguaggio poetico, servendosi di vecchi film greci, per parlare anche di una situazione che è attuale. Poi naturalmente emergono dei temi comuni, affrontati nelle diverse forme, attraverso prospettive differenti come accade con l’emarginazione di una comunità sia in Buffalo Juggalos sia in Liahona.

 

Che cosa pensi del cinema mainstream?

Quest’anno abbiamo un lungometraggio in sezione, la mia intenzione sarebbe di concentrarsi sempre più sui cortometraggi. Il corto, come il documentario, nel cinema mainstream, viene spesso considerato una palestra che precede la regia di lungometraggi. È un peccato che la distribuzione su grande scala sottovaluti questo tipo di produzione cinematografica, nonostante alcuni lungometraggi si avvicinino allo stile rappresentativo sperimentale. Ci sono film come Transformers: The Premake che esaminano la dimensione del marketing virale, dove si mostra l’esistenza di una dimensione extrafilmica che dilaga al di là dell’opera stessa. Ho cercato di mescolare questi due volti della produzione, di creare un incontro tra le opere fatte per le gallerie espositive e quelle destinate alla sala di proiezione, un po’ come succedeva una volta.

 

La sezione è divisa in tre parti che raggruppano i film che hanno elementi in comune. Sono collegate l’una all’altra in qualche modo?

Non vi è una vera e propria connessione lineare tra le tre sottosezioni. Si sono delineati tre insiemi rappresentativi di tre idee narrative principali. “Tattiche di spaesamento” raggruppa quattro film dove lo spaesamento, appunto, diventa l'occasione per attraversare alcuni confini dell’esperienza. La frammentazione dell’identità, la ricerca, la dislocazione, aprono nuovi orizzonti di riflessione su sé stessi e sul paesaggio. Subentra anche un discorso di memoria meglio affrontata nella parte ”Ritorni, circuiti” dove si omaggia il cinema stesso. Viene ripresa la dimensione dell’archivio, un ritorno al passato per rianimarlo e riattualizzarlo nel presente. Il ritorno è circolare, è un travaso continuo di una cosa nell’altra, passato e presente, finzione e realtà. Infine la terza parte, ”Il fascino discreto di quell’oscuro oggetto”, indaga la relazione col mondo delle cose, un argomento dibattuto da tempo nell’arte contemporanea, così come il confine tra animato e non. Il confronto con gli oggetti e la materia è molto attuale anche in un contesto come quello presente, fortemente caratterizzato dalla multimedialità virtuale.

 

Broken Tongue, Mónica Savirón; Hacked Circuit, Deborah Stratman; A Return to the Return to Reason, Sabine Gruffat; Twelve Tales Told, Johann Lurf; Epistrofi stin odo aiolou (Exi laikes zografies) [Return to Aeolus Street (Six Popular Paintings)], Maria Kourkouta; Transformes:The Premake, Kevin B. Lee, Fuori Formato, merc 3 dicembre, ore 17.00, Spazio Oberdan

 

Articoli recenti

Daily