Milano che cambia. I cantieri si moltiplicano e i quartieri si trasformano. Indagine in forma di video per raccontare senza retorica il cammino verso Expo 2015. È Sinfonie Urbane, laboratorio sulla metropoli e la sua mutazione. Curato da Fatima Bianchi. L’abbiamo incontrata
Da più di un anno gli artisti di EXPOSED, piattaforma di ricerca sulla trasformazione urbana a Milano, indagano i cambiamenti in corso in vista di Expo 2015. L’esposizione universale ha accelerato la metamorfosi della città, col sorgere giornaliero di cantieri e nuove costruzioni. Dieci opere di giovani autori (che saranno in mostra alla Fabbrica del Vapore dal 18 al 21 dicembre)riflettono sui luoghi dimenticati nell’incedere incessante della metropoli verso la meta, cercando di rispondere alla domanda “Che cos’è oggi la modernizzazione?”. Ne abbiamo parlato con Fatima Bianchi che ha curato Sinfonie Urbane, evento speciale all’interno della sezione Prospettive .
Come funziona EXPOSED e come si colloca Sinfonie Urbane nella programmazione del festival?
Quella di Expo 2015 è un po’ un pretesto per raccontare la velocità con cui cambia la città, come sta cercando di essere reinterpretata. Ci focalizziamo su Milano, ma vogliamo allargare la ricerca. Siamo in sette, tra curatori, autori, fotografi e videomaker. Io mi occupo di quello che concerne i video. Ci sono tante altre cose: un progetto legato al cibo, un’iniziativa sullo stimolo fotografico, con lavori d’improvvisazione nei cantieri. Ci concentriamo sull’Expo e quindi la nostra missione in teoria ha una fine, ma lavorando ci siamo accorti che ci stiamo ingrandendo, coinvolgendo altre persone. È una realtà che parte dal basso, un’autoproduzione. Sinfonie urbane, che curo con Giuseppe Panizza, è iniziato circa un anno fa, ma è il team di EXPOSED che l’ha portato avanti, in collaborazione con Careof che dispone degli spazi in cui allestire la mostra alla Fabbrica del Vapore, Filmmaker e Spazio O. La volontà è stata quella di unire cinema sperimentale, musica e arte contemporanea rifacendosi alle sinfonie visive degli anni Venti e al cinema sperimentale che raccontava come in quegli anni si vivesse l’estasi del nuovo. Da questo punto di partenza storico abbiamo ragionato su cosa significa oggi la modernizzazione.
È un progetto che nasce come laboratorio?
Abbiamo lanciato una open-call a gennaio e hanno partecipato in moltissimi, circa settanta: ne abbiamo scelti dieci in base al progetto proposto. Una volta formato il gruppo abbiamo organizzato tre masterclass con il video maker francese Cedrick Eymenier, il critico cinematografico Rinaldo Censi e il sound artist Davide Tidoni. Un laboratorio per formare, discutere e crescere insieme. Nei sei mesi successivi abbiamo organizzato incontri con gli artisti e noi curatori, assieme a Sara Serighelli di Spazio O e membri di Careof. Le riflessioni delle masterclass hanno avuto il ruolo di indirizzare i lavori in una certa direzione d’indagine, ma ognuno ha seguito un proprio progetto specifico in coppie, un videomaker e un musicista, per trovare il connubio fra musica e rappresentazione visiva. Ci piaceva l’idea di sinfonia come insieme corale di più voci. Siamo partiti da campionamenti ambientali registrando in città, trasformati poi in musiche. Altri autori come Dario Agazzi hanno lavorato su vere e proprie partiture.
Come verrà allestita la mostra?
Ci stiamo impegnando con Careof per riuscire a mostrare contemporaneamente le opere di ogni autore, sfruttando tutti gli spazi disponibili su due piani. Abbiamo cercato di mantenere le caratteristiche per cui l’opera è stata creata, e quindi ciascun allestimento ha la sua specificità. Ci sono installazioni, videoproiezioni e performance live.
Che tipo di racconto di Milano emerge?
Guardando i dieci lavori ci siamo accorti che viene fuori una città un po’ lontana, distaccata. Gli artisti Micol Roubini e Lorenzo Casali hanno affrontato la questione filmando nei cantieri. È significativo che da molti dei lavori esca un rapporto conflittuale con la città e il progetto Expo. Noi che indaghiamo da tempo questi spazi ci soffermiamo spesso sul tema dello spaesamento. È palese come da qualche anno a questa parte l’idea di costruire nuovi cantieri non rappresenti più un elogio alla modernizzazione come un tempo. C’è paura, allerta. Il nostro è un progetto politico perché racconta quello che sta succedendo in maniera critica, senza essere né pro né contro. Io personalmente percepisco un forte scollamento con quello che Milano vuole essere con Expo e la pubblicità che fa. Lo sguardo dell’artista è da sempre poco allineato con le istituzioni. In questo caso tentare di adattarsi al contesto urbano può essere un tormento. Ma la nostra non è una ricerca relegata al mondo dell’arte, è un’indagine che può essere di supporto alle istituzioni. Peccato non ci sia stata la sensibilità per capire che un’iniziativa come questa serve.
A Filmmaker hai portato anche Tyndall, un film che senti molto.
È un film molto personale, e ora sono contenta che stia avendo uno sviluppo inaspettato e abbia un certo riconoscimento. L’ho fatto anche per il desiderio di riavvicinarmi alla mia famiglia anche se, facendolo, ha riaperto una ferita passata, quella dell’esperienza di mio fratello in carcere. Non è stato facile avere il coraggio di chiedere ai miei genitori di riparlarne, ero molto in conflitto, avevo una sorta di senso di colpa. Nel film si parla più di noi famiglia che di mio fratello in carcere. Mi interessava il paradosso rappresentato dal fatto che lui scrivesse di stare bene, che si stesse dedicando a se stesso. Ha letto e scritto tantissimo: quella della scrittura è la sola modalità con cui stare vicini. È stato molto intenso rileggere le nostre corrispondenze. Nel film riporto tutta la mia famiglia a casa dei miei genitori, ma in realtà nessuno vive più lì. Ho rimesso in scena e rielaborato delle quotidianità che avevo vissuto nei vent’anni di vita in quella casa. Ho gestito da sola l’aspetto tecnico, usando la luce naturale, un po’ perché sono fedele a questo “dogma“ e un po’ per necessità. Si racconta il ritmo di una domenica, ma in realtà in quei trenta minuti si condensano un anno e mezzo di riprese. Ho un sacco di materiale in più che conserverò, magari per mostrarlo ai miei figli.
Programma e informazioni su Sinfonie Urbane sul sito di Exposed Project:
http://www.exposedproject.net/sinfonie-urbane-2/
Ridotto Mattioni di Luca Ferri e Giulia Vallicelli,
Comparative Analysis di NastyNasty,
Outer Dark # 430.670 Mhz di Lorenzo Casali e Micol Roubini.
Evento Speciale Sinfonie Urbane – Exposed Project, Prospettive, dom 7, ore 17.00, Spazio Oberdan