UNE RENCONTRE D'APRÈS-MIDI

UNE RENCONTRE D'APRÈS-MIDI
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Yann Gonzalez, il regista francese, trionfatore il settembre scorso al MFF con il suo Les recontres d’après minuit, torna quest’anno nelle vesti di giurato.

 

Appena arrivato a Milano passa a trovarci al Teatro Strehler e ci parla del suo salto della barricata, questa volta toccherà a lui assegnare il premio, anche se in fondo Gonzalez si sente più a suo agio dietro l’obiettivo della macchina da presa.

 

Nel 2013 hai vinto: che tipo di esperienza hai avuto? È un festival abbastanza diverso rispetto agli altri a cui hai partecipato.

C’è un’atmosfera molto amichevole, è come essere in famiglia, tutti sono simpatici e gentili. Con alcuni dei programmatori dell’anno scorso siamo diventati amici e ci rivediamo in giro per gli altri festival. Quando l’atmosfera è più intima è meglio, è più umano e piacevole rispetto ad esempio a Cannes. È un festival molto importante ma io preferisco festival più piccoli perché sono un po’ timido e mi innervosisce relazionarmi con le folle, preferisco concentrarmi su poche persone per poterle conoscere più a fondo.

 

Quando partecipi a un festival cosa ti aspetti di trovare?

Mi aspetto l’inaspettato. Spero che cose un po’ strane e magiche mi accadano, come per esempio quando ti ubriachi e cominci a ridere con qualcuno e così diventate amici. È fantastico! Mi piace molto incontrare chi altrimenti non avrei mai l’occasione di conoscere nella vita. Ogni festival ti cambia un po’. Ci sono alcuni film che probabilmente non avrei mai visto da solo, ecco perché è meraviglioso poter scoprire nuove opere lontane dai tuoi orizzonti.

 

Come membro della giuria e come spettatore quali sono i criteri che usi quando devi giudicare un film?

L’emozione è la cosa più importante ma deve essere sostenuta da un linguaggio cinematografico. Ogni autore deve dare una forma, una grammatica ai sentimenti. Oggi avverto la mancanza di registi così. Io difenderò sempre film imperfetti ma che hanno un proprio modo di porsi, che siano in grado di comunicare in modo originale e che rischino. Non mi piacciono i film magari canonicamente perfetti che, però poi, in due o tre settimane finisci col dimenticare.

 

Hai anche collaborato con una band, gli M83. Che peso ha una colonna sonora?

Dipende dal tipo di film. Per il cinema di Dario Argento è fondamentale, mentre per altri artisti che amo molto come Buñuel non è indispensabile. Non mi piacciono le musiche che accompagnano senza aggiungere niente di proprio, che semplicemente si intonano alle immagini. Piuttosto che sorbirmi un tappeto musicale preferisco il silenzio.

 

Di quali progetti ti stai occupando al momento?

Sto finendo una sceneggiatura giusto adesso, è ambientata nell’industria pornografica degli anni '70, in Francia. È un porn-horror. In realtà la pornografia fa solo da sfondo, a parte qualche scena…

 

Anche in Les rencontres d’après minuit le relazioni si sviluppavano attorno al sesso in un’orgia romantica.

Credo che il cinema sia fatto perché i nostri sogni e le nostre fantasie diventino vere. Quando stavo scrivendo il mio film, mi sentivo un po’ triste e forse anche un po’ solo e volevo creare questa comunità di persone per assecondare i miei stessi desideri, per sentirmi meglio. Per me fare un film è come un processo di guarigione. Parti da una ferita e scrivendo piano a piano si rimargina fino a scomparire.

 

Il tuo film è stato definito come la versione hardcore di The Breakfast Club (1985). Sei d’accordo?

Sì [ride]Sono assolutamente d’accordo, credo che sia un bellissimo film. Mi è piaciuto molto e ho apprezzato l’umanità che riesci a percepire guardando questo gruppo di persone che non si conoscono e mano a mano diventano amiche. Credo sia una bellissima storia, molto semplice ma anche molto efficace. Amo il modo con cui John Hughes è coinvolto nel suo gruppo di attori. Credo avesse trentacinque anni quando ha girato il film con degli adolescenti e probabilmente anche lui, durante le riprese, si è sentito un teenager americano. Questo è l’aspetto più commovente del film, quando il regista riesce a collocarsi all’interno della finzione della pellicola e riesce a diventare così vicino ai suoi attori al punto di essere parte del gruppo, pur essendo dietro la telecamera.

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