PASSIONE E RESISTENZA

PASSIONE E RESISTENZA
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Dal 29 ottobre al 9 novembre torna a Milano Invideo, il festival che, da sempre, esplora la produzione videosperimentale di ricerca. Scopriamo l'edizione 2014 insieme ai due direttori, Sandra Lischi e Romano Fattorossi

 

L'edizione 2014 si chiama “Orizzonti Globali”, come mai questa scelta?

Sandra Lischi: L'idea è nata da una caratteristica comune all'insieme di opere scelte. Tutti provano a esplorare dei confini, dei limiti, a guardare un orizzonte sia intimo, fatto di storie personali, sia geografico e immaginativo. Poi ci siamo ricordati della definizione di McLuhan “Villaggio globale”, proprio perché si tracciano orizzonti che ormai sono globali, planetari o addirittura un'immaginazione di altri universi. Alla luce di tutto questo ci è sembrato che il titolo scelto racchiudesse la metafora migliore.

Romano Fattorossi: Il titolo rappresenta sempre la tendenza che ritroviamo tra le varie opere selezionate e anche per questo motivo lo scegliamo sempre dopo. Partiamo dalle opere e man mano che le visioniamo ci accorgiamo che c'è un filo conduttore che le lega.

 

A proposito di selezione, come lavorate a riguardo?

RF: Si fa in momenti e luoghi diversi. Si parte da un bando internazionale a cui partecipano un migliaio di opere, ognuno di noi ne visiona almeno 200 e quelle evidentemente fuori tema, come le fiction, vengono scartate direttamente, mentre quelle che rientrano nello spirito del festival e che possono interessare vengono rivisionate in gruppo. Inizia così una lunga sessione comune in cui si discute e ci si confronta e dove normalmente si cerca di convincersi l'un l'altro. A questo lavoro si aggiunge la selezione che facciamo individualmente e che confluisce in quella generale.

SL: Andiamo ai vari festival del cortometraggio come quello di Clermont-Ferrand o il Loop di Barcellona, e poniamo l'attenzione alla sezione laboratoriale di ricerca. Quest'anno siamo passati anche al festival di Pesaro in cui si è tenuta una rassegna di cinema sperimentale italiano. Inoltre ci affidiamo pure ad amici e artisti che vivono all'estero, e ci segnalano degli autori. Ciascuno di noi, poi, attraverso i propri canali, porta proposte aggiuntive.

 

Ad esempio?

SL: Penso a Gérard Courant che aveva tenuto un seminario all'Università di Pisa, dove insegno, e ho pensato di portare a Milano la sua opera Cinématons, il film più lungo al mondo: una carrellata di fototessere in movimento, da Jean-Luc Godard a me stessa. È un lavoro che va avanti da anni e che sarà presente al festival in una striscia quotidiana.

 

Se doveste spiegare ai non addetti ai lavori la videoarte, come la definireste?

SL: Sicuramente non è cinema narrativo, non è televisione, non è lungometraggio. È arte fatta col video, un lavoro che utilizza l'immagine elettronica come materia prima.

RF: Si tratta di ricerca che si può definire classica in quanto si focalizza su un argomento particolare nel quale l'innovazione si rivela sul tema trattato, e/o formale.

SL: Sono lavori non tradizionali, prevalentemente non narrativi, in cui non domina necessariamente la parola come invece avviene nel cinema e in televisione anche se si trovano delle narrazioni sperimentali nella videoarte. Per questo motivo si definisce anche “cinema oltre” perché esistono cineasti che non usano solo le tecnologie tradizionali ma che realizzano opere ibridate con installazioni, performance ecc. I terreni si mescolano e i confini sono sempre più labili.

RF: A questo proposito il caso più eclatante e di successo è quello di Matthew Barney, compagno di Bjork, che si esprime in diversi campi multimediali, dalle installazioni, alla scultura e al cinema.
Occorre inoltre ricordare il duo di videoartisti Masbedo, che quest'anno hanno presentato il loro primo lungometraggio (The Lack) alla Mostra del Cinema di Venezia (Giornata degli Autori) e che negli anni hanno presenziato a Invideo.

 

Come si è evoluta la videoarte negli ultimi anni?

RF: Come in tutto il mondo dell'immagine anche la videoarte ha subito la rivoluzione digitale, in negativo e in positivo. Se da un lato ha permesso una democratizzazione del mestiere dando la possibilità a chiunque di esprimere un'idea, anche non buona, dall'altro ha il merito di aver dato una maggiore libertà di lavoro a chi già apparteneva a quel mondo.

SL: Molti affermano che la videoarte classica sia morta a causa delle ibridazioni che le avrebbero tolto il suo carattere puro iniziale, ma questo ragionamento può, secondo me, essere ribaltato. Questo genere non è mai stato vivo come ora perché influenza tutto ciò che è audiovisivo, dal cinema al video musicale.

 

Cosa significa per voi continuare a offrire arte e cultura in un momento di crisi e nonostante i tagli dei fondi ministeriali?

RF: Rispondi tu che a me vien da ridere...

SL: Istintivamente ti viene la tentazione di gettare la spugna perché il lavoro per cercare di migliorare e arricchire la proposta culturale è tanto, soprattutto da un certo periodo dell'anno in poi, e ci si sente abbandonati da una parte delle istituzioni.

È una sfida continua. Quello che ci muove è la passione, la fedeltà a un progetto che dura da più di vent'anni e anche la speranza che in futuro si possa vedere un cambiamento. Detto questo, riuscire a occuparsi di

un festival e offrire cultura, nonostante i budget ridicoli, è un privilegio.

RF: Quello che ci piacerebbe è che diventasse una possibilità per più persone, soprattutto per i giovani a cui molto spesso non viene riconosciuto alcun merito, a cui vorremmo lasciare il testimone.

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