Una profonda riflessione sul teatro e sul cinema. È Corpo a corpo, film realizzato durante le prove dello spettacolo Orchidee di Pippo Delbono. Ne abbiamo parlato con i due autori, Mario Brenta e Karin de Villers.
Non un backstage, ma un film che riesce ad andare al di là della rappresentazione teatrale arrivando allo stesso punto di approdo: una meditazione sul mistero dell'esistenza, dalla nascita alla morte.
Intanto perché proprio Pippo Delbono?
Mario Brenta: Con Pippo ci conosciamo dalla fine degli anni 80, quando lui cominciava a fare teatro. È stato allievo della scuola Ipotesi Cinema, fondata da Olmi, che ho diretto per diversi anni. Ci siamo ritrovati a Venezia in occasione dello spettacolo Barboni. Dopo siamo andati a cena ed è venuta fuori questa idea. Lui stava per iniziare un nuovo lavoro, non sapeva cosa avrebbe fatto, non c'era un testo scritto, il titolo forse... Mi sembrava interessante andare incontro a questa scoperta e intraprendere, come diciamo all'inizio del film, un «viaggio verso l'ignoto». Si tratta di due percorsi paralleli perché noi amiamo molto fare un cinema senza testo, in cui le sensazioni che uno riceve dalla realtà si organizzano successivamente, ma portano già dentro la traccia di uno sguardo, di un'intenzione. Ci sembrava stimolante percorrere questo doppio binario e processo creativo: da una parte c'è lo spettacolo teatrale e dall'altra c'è il film che non racconta come si arriva allo spettacolo, ma usa gli stessi materiali secondo una linea di discorso diversa che è più emozionale, più associativa...
Nel film la macchina da presa sta molto addosso agli attori. Come è riuscito ad arrivare a questo risultato in un contesto di prove teatrali?
MB: Intanto eravamo solo due, quindi pochi. Non ho mai usato luci, ho girato tutto con la macchina a mano, cercando di essere il più trasparente possibile. Siamo stati con la compagnia fin dall'inizio, non ci siamo presentati come dei visitatori o degli intrusi, ma abbiamo condiviso questa esperienza con loro. Siamo stati insieme per tutta la durata delle prove, di giorno, di notte soprattutto. Eravamo lì cercando di essere più discreti possibili. Non abbiamo mai chiesto agli attori di ripetere una scena. Tutto è girato senza sapere quello che sarebbe successo, ma sapendo, invece, che non si sarebbe ripetuto. O si prendeva o era perduto.
Il vostro è uno sguardo dall'esterno che è però molto dentro il lavoro, coinvolto e coinvolgente per lo spettatore.
MB: Del nostro lavoro Pippo dice che è bello perché è una riflessione sul teatro, sul cinema, sui loro punti di contatto e le loro differenze. Ed è dal di dentro, non è lo sguardo di chi arriva da fuori e guarda superficialmente, ma è qualcuno che segue tutto il processo, vive e partecipa...
Una domanda per Karin, che ha curato il montaggio del film. Immagino avrete girato tantissimo, che filo conduttore ha seguito per venire a capo di tutto il girato?
Karin de Villers: Abbiamo girato cinque settimane ed eravamo lì sempre, mattina, pomeriggio, sera, mangiavamo, dormivamo a teatro. Ho guardato molto mentre Mario girava, poi ho digitalizzato la materia e a quel punto ho iniziato a fare la costruzione. Ho trovato abbastanza in fretta che le persone parlavano di loro stesse, che di fatto costruivano degli autoritratti. Questo è stato il punto di partenza, poi ho preso una sequenza che mi sembrava giusta per entrare nel mondo di Pippo e dei suoi attori, quella della vasca da bagno, che permette di entrare dentro questo mondo particolare...â¨E poi mi piaceva molto il lavoro sul corpo e in quella scena trovavo fosse particolarmente forte: ci sono la donna e Gianluca, che ha ancora un corpo da bambino, né uomo né donna. Trovo che i due insieme siano qualcosa di potente e ho messo la voce di Pippo che dice: «Noi non vogliamo riprodurre il mondo dei nostri genitori, un mondo di guerre e distruzione...»
Il corpo a corpo del titolo fa riferimento al corpo dell'attore, ma comporta anche l'idea della lotta, del conflitto...
MB: Sì, in tutte queste forme di espressione c'è la lotta con la materia: il teatro, il cinema si confrontano con la materia... Parafrasando Foucault cerco sempre di far venire fuori le parole delle cose. La realtà ci parla, sempre. Il mio atteggiamento è di affrontare la realtà con la massima apertura, senza schemi, con delle intenzioni magari, ma non con dei pregiudizi. In questa maniera si è più disposti a ricevere quello che ci viene dato. E comunque è un lavoro sulla materia perché il visibile è materiale; l'aspetto intellettivo, mentale è contemporaneo, ma quasi incosciente. Si chiarifica dopo, nella fase di montaggio... E anche per quanto riguarda gli autoritratti di cui parlava Karin, è vero, ogni attore interpreta se stesso, ma non in maniera diretta, biografica; fa un personaggio, ma questo personaggio è il suo ritratto, è quello che lui pensa e quello che sente. In questo c'è la fusione tra mente e corpo e spesso tra corpo e corpo perché si incontrano fisicamente tra di loro.
Corpo a corpo e Orchidee rimangono due entità separate. Non è necessario aver visto lo spettacolo per apprezzare il film. Come ci siete riusciti?
MB: È un film sul mistero dell'esistenza, che è il tema dello spettacolo di Pippo, che noi seguiamo, ma affrontiamo in maniera un po' diversa, con un percorso che arriva alla stessa destinazione, a partire dagli stessi materiali. Ma è soprattutto una scoperta. È sempre bello essere sorpresi dalle cose. Farsi un'idea e ritrovare ciò che si era pensato ha il sapore della minestra riscaldata. È l'aspetto negativo della finzione... Sartre diceva che «le immagini vere e le immagini mentali sono le stesse, solo che le immagini vere si presentano sotto tante angolazioni e tante interpretazioni, mentre le immagini mentali vengono fuori da noi e sono uniche e non ci insegnano nulla». Anche nei nostri progetti di finzione, per esempio Calle de la Pietà, il lavoro che abbiamo fatto sull'ultimo giorno di vita di Tiziano (raccontato senza attori, senza Tiziano, ambientato oggi a Venezia, tutto in maniera un po' metonimica) c'era una traccia ed è rimasta una specie di cronologia, una successione, perché sono 24 ore, ma c'è dentro di tutto, si lavora molto in maniera associativa, come se i vari elementi si costituissero più che secondo un percorso, secondo una costellazione che uno poi può percorrere come vuole. Anche Corpo a corpo non segue una cronologia prestabilita.
Un approccio all'insegna della libertà, il vostro.
MB: Sì, ma è la libertà del pensiero. Quando noi pensiamo lo facciamo in maniera "disordinata", in realtà c'è un altro ordine, un'altra logica, un'altra sintassi. È un discorso interessante da applicare al cinema perché è il linguaggio più antico che ci sia al mondo, quello che ognuno di noi usa per interpretare la realtà nella vita di veglia, e soprattutto in quella di sonno, dove si monta... Allora penso che questo linguaggio che abbiamo vada sfruttato soprattutto in questo senso, a fondo, senza restringerlo alla solita successione temporale, con una sintassi un po' restrittiva che appartiene magari ad altre forme di espressione, ma il cinema ha più codici di comunicazione. Nel cinema c'è tutto, ci sono le parole, le luci, gli oggetti, le posizioni nello spazio.
KdV: C'è qualcosa anche di molto interessante che è emerso in fase di montaggio ed è il mistero. Montavo e c'era sempre qualcosa che restava in sospeso, non riuscivamo ad afferrare tutto. Come una stella...
MB: È una sorta di opacità delle cose, oltre le cose c'è il mistero. È quello il bello della realtà.
The Outsiders
Corpo a corpo, dom. 7, ore 17, Teatro Strehler; mar. 9, ore 22.30, Teatro Studio; sab. 13, ore 21.30, Scatola Magica