Da Jean Luc Godard a Leonardo Di Costanzo, dal romeno Cristi Puiu alla bosniaca Aïda Begic: il film racconta 100 anni di storia dei Balcani e dell'Europa. Con la capitale serba come luogo di osservazione privilegiato
28 giugno 1914. Una decapottabile di fabbricazione austriaca sfreccia a tutta velocità, per seminare un gruppetto di cospiratori nascosti dietro una sottile fila di soldati serbi e asburgici in alta uniforme. La folle corsa del gigantesco Moloch noto alla storia come Impero Austro Ungarico, nella figura dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo, terminerà di fronte un vicolo cieco. Sarà la storia ad armare la mano del giovane e smunto nazionalista serbo Gavrilo Princip: quattro colpi sparati da una browning semiautomatica creeranno quel casus belli che contribuirà a trasformare per sempre la fisionomia del '900 in Europa.
È con una dissolvenza in nero su questa ricostruzione storica che si chiude il primo dei tredici episodi che compongono il film collettivo I ponti di Sarajevo. Il film però non si sofferma solo sulla storia passata e sceglie di mettere in quadro cosa è stato il ventesimo secolo per questo lembo di terra nel cuore dei Balcani, paese emblema di quell'Europa dell'Est e dei suoi conflitti.
Nato come coproduzione di diversi paesi europei – per l'Italia c'è MIR cinematografica e RAI cinema – il film ha avuto la sua prima proiezione pubblica a Cannes il 22 maggio dello scorso anno, per poi passare in diversi festival internazionali, tra cui il Sarajevo Film Festival, prima di essere distribuito dal Milano Film Network.
Di fondamentale importanza per la buona riuscita del progetto la supervisione artistica dell'ex direttore dei Cahiers du cinéma Jean-Michel Frodon, grazie alla qualeil film riesce a colpire sia per la sua straordinaria coerenza nella polifonia di voci dei differenti autori sia per la lucidità dello sguardo sui mali che ancora oggi divorano l'Europa: l'orrore delle guerre di sempre, il dispotismo del potere, la banale quotidianità della barbarie e la costante intolleranza nei confronti del diverso.
La pellicola alterna episodi di finzione come Ma chère nuit di Kamen Kalev e le alienanti trincee de L'avamposto di Leonardo Di Costanzo a incursioni nel cinema sperimentale con Le Pont des Soupirs, collage-poème di Jean-Luc Godard e l'Album della regista bosniaca Aïda Begic e nel documentario con Réflexions di Sergei Loznitsa, dove il regista ucraino sovraimprime ritratti di cecchini su scene di vita quotidiana.
La differenza di registri e voci d'autore è uno dei punti di forza: si passa dal sottile dramma di Silence Mujo di Ursula Meier alla solo apparentemente grossolana satira socialedi Réveillon del romeno Cristi Puiu,episodio girato in un unico piano-sequenza dove in un crescendo volutamente eccessivo e debordante si rispolverano vecchi cliché xenofobi e reazionari, cuore della propaganda degli autoritarismi del vecchio e nuovo secolo. A unire il tutto le suggestive animazioni del fumettista belga François Schuiten, dove le mani che si cercano fra le sponde di un fiume, diventano la metafora della speranza di un futuro di pace per un paese martoriato.
Mosaico corale con un'imponente potenza suggestiva, il film si interroga in eguale misura sui fantasmi di ieri come su quelli di oggi. Nel ritratto crudo e talvolta spietato degli autori di questo complesso affresco, Sarajevo risulta essere una ferita aperta nel cuore dei Balcani, emblema di quella periferia dell'impero che ad oggi non ha ancora avuto modo di fare i conti a mente lucida con la propria storia. Il risultato è un saggio storico, umano ed emozionale di rara intensità.
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