DA WOODY ALLEN A SISSAKO: ANNA PRADERIO SI RACCONTA

DA WOODY ALLEN A SISSAKO: ANNA PRADERIO SI RACCONTA
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Giornalista del TG5 e giurata al FCAAAL per le sezioni Miglior Film Africano e Miglior Corto Africano, Anna Praderio ci parla della sua passione per il cinema e delle interviste più memorabili

 

Le lezioni di giornalismo di Mentana, la passione per il cinema condivisa con Carlo Rossella e l’interesse per il mondo dello spettacolo che la accomuna a Clemente Mimun. Questi i tre direttori della formazione giornalistica di Anna Praderio. La giornalista inviata nei maggiori Festival del mondo arriva al FCAAAL in qualità di giurata. Racconta al nostro daily il cinema africano, gli incontri fondamentali da videogiornalista e tutto l’amore per la settima arte.

 

Come valuti l'esperienza di giurata al festival?

Molto appassionante per lo sguardo che ho potuto avere su cinematografie a cui   abitualmente abbiamo un accesso limitato. In questo senso l’avventura del FCAAAL è molto interessante, proprio perché normalmente seguo, col TG5 e la rubrica Note di Cinema su Iris, i festival di Venezia, Cannes e Roma, ed è bello vedere intrecciarsi i percorsi cinematografici di alcuni registi. 

Il FCAAAL è come una finestra aperta su popoli e culture. 

 

Qual è un tema dei film che ti ha colpito in modo particolare?

La cosa che mi ha più colpito dei film visti - soprattutto dei film africani - è l'emergere potente dei problemi femminili, la denuncia della violenza sulle donne, le difficoltà della condizione femminile, i pregiudizi.

Ogni volta che vediamo lungometraggi di maestri africani, asiatici o latino americani, quello che si avverte è molto forte: la mancanza di libertà, i problemi con i regimi, i fondamentalismi, le ingiustizie verso le donne e la condizione femminile, la povertà. Tanto cinema africano, di fronte a questi ostacoli, produce grandissimi risultati, forse proprio per la forza di reagire, di varcare un muro, di vincere il silenzio che hanno molti registi. Un po’ come è accaduto in Italia con il neorealismo.

Un film come Taxi Teheran di Panahi ha un valore enorme, secondo me è come Roma città aperta di Rossellini: la vittoria della libertà dell’arte rispetto alle tragedie della realtà. 

 

Un grande regista africano che hai conosciuto?

Sicuramente Abderrahmane Sissako. Mi ha emozionato quando, durante la conferenza stampa di Timbuktu a Cannes, si è messo a piangere, mentre raccontava i soprusi vissuti di persona. Così come ho trovato emozionante nel suo film la scena in cui i ragazzi calciano un pallone invisibile. Immenso.

  

Quali sono i punti di riferimento del giornalismo che ti hanno aiutata a diventare la professionista che sei?

I miei direttori del TG5 naturalmente. Il primo - anche fondatore del telegiornale - è Enrico Mentana, che mi ha trasmesso un’ottima lezione: quella di cercare la fedeltà delle notizie e una verità semplice da raccontare. Poi Carlo Rossella, un direttore molto appassionato di cinema e adesso Clemente Mimun, anche lui molto interessato al cinema emergente e allo spettacolo. È un piacere lavorare con lui. Loro sono stati i miei tre pilastri.

 

Quali sono i film e i registi che porti nel cuore?

Woody Allen è uno dei miei autori preferiti e sono legata in modo particolare a Io e Annie. Come genere amo la perfetta commedia sofisticata americana, quella di Billy Wilder e Audrey Hepburn. 

Un altro genere che adoro è il musical: trovo in Moulin Rouge! di Baz Luhrmann una potente genialità, soprattutto nell’aver fuso la tradizione dei vecchi musical con la cultura rock contemporanea.

 

L’ingrediente per l’intervista perfetta?

Non sempre si riesce a fare una buona intervista. Io credo che siano due le buone regole. La prima è quella di cercare di fare una scaletta di domande che abbiano un rapporto molto concreto con la realtà. Cerco sempre, durante le interviste, di ancorarmi all’attualità e di contestualizzarle nel mondo intorno a noi. La seconda, anche se non sempre ci si riesce, è quella di creare un rapporto umano e vero con l’intervistato, una sincerità di comunicazione con il personaggio che si ha davanti.

 

Il tuo ricordo più bello legato a un personaggio intervistato?

Ho dei ricordi molto belli legati a grandissimi personaggi internazionali, nei quali ho riscontrato una profonda umanità. Trovo che Steven Spielberg sia una persona generosissima, così come Nicole Kidman - una delle mie attrici preferite - Sharon Stone e Dustin Hoffman, anime che durante le interviste si aprono all’interlocutore. Al contrario dei più ermetici (ride, ndr) Robert De Niro e Al Pacino. Tra gli artisti italiani, trovo Roberto Benigni immaginifico e divertente da intervistare, così come Bernardo Bertolucci, ogni sua intervista è un regalo perché ti trasmette la sua grande  passione per il cinema.

 

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