MIRIAM, FINE DI UNA STORIA

MIRIAM, FINE DI UNA STORIA
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Racconto al femminile di una passione dolorosa. Campionario di sogni non realizzati. Il lungometraggio di Monica Castiglioni che chiude il festival ha avuto una genesi lunga e complessa. L'autrice qui ci racconta com'è andata

 

Laureata in architettura, cinefila fin da giovane, con alle spalle tanti cortometraggi presentati e premiati in festival italiani ed europei, Monica Castiglioni presenta il suo primo lungometraggio Miriam – Il diario a chiusura di Filmmaker 2014. Un film che è anche il prodotto degli sforzi di un gruppo di lavoro che ha insistito per portare alla luce la storia di Miriam (interpretata da Gledis Cinque) e del suo amore testardo e infelice.

 

C’eravamo lasciati a giugno con l’ansia da post produzione, come ti senti ora per la prima di Miriam?
Ora c’è l’ansia da proiezione, non so come sarà in sala. Ma sono soddisfatta del lavoro.

 

Il primo finanziamento per lo sviluppo della sceneggiatura del film risale al 2002: come si arriva a oggi?
In questi anni in realtà mi ero dimenticata del film. Sono stata ricontattata dalle persone con cui avevo lavorato all’epoca, con la volontà di riprovare: sono tornata sulla storia con una visione diversa, più matura, anche se a livello di finanziamento non è cambiato molto.

 

Per poter fare il film, ognuno ha partecipato attivamente alla produzione.
È forse l’aspetto più importante del film: è stato prodotto da chi vi ha lavorato accettando anche di non essere pagato.Ho impostato il lavoro lasciando libera la creatività di ognuno. Il film è un prodotto collettivo, un laboratorio per tutti, io non ho imposto nulla. La messa in scena è ben curata perché studiata e discussa in anticipo con il direttore della fotografia, gli assistenti e la produzione.

 

La partecipazione collettiva è un modello difficile da riproporre.
Oltre al talento e alla passione ci vuole fortuna: nel mio caso è stata quella di trovare persone appassionate e in un preciso momento della loro carriera. È stato anche rassicurante poter contare sulle attrezzature fornite da Movie People, che possiede una quota del film.

 

Essere indipendente, ma non disporre di fondi. Come ha influito sugli aspetti creativi del film?
La libertà è stata la cosa più bella: nessuno a cui rendere conto. Talvolta il lavoro di un regista può essere mortificato se mancano i mezzi desiderati, ma si cucina con gli ingredienti che si hanno: non ci siamo fatti mancare niente.

 

Miriam che donna è?
Lei e la sua amica Giulia (Linda Calugi) sono ragazze in una fase particolare della vita. Quella che di solito arriva alla fine dell’università: non sei né carne né pesce. Miriam si abbandona a una sorta di masochismo, come si dice nel film: «le donne amano farsi del male». La passione-ossessione per Bo, il suo uomo, la consuma. È qualcosa che succede comunemente.

 

Miriam è il simbolo di tante ragazze.
Infatti non è dichiaratamente lei la bambina che si vede nei video ritratti: è l’infanzia di qualsiasi ragazza. La donna vive la coppia in maniera diversa: è più soggetta a sacrificarsi mettendo da parte i propri desideri, ma facendo così ci si limita: chi non si esprime si ammala. Giulia è diversa: è più pratica, gioiosa e disinibita, cerca di aiutare l’amica, ma inutilmente.L’esperienza di Miriam è qualcosa che qualsiasi donna si trova a dover affrontare nella vita. Il focus diventa quindi quello che si dicono le ragazze, mentre le figure maschili fanno da supporto, in maniera relegata.
È ovvio che non è la mia opinione sugli uomini: sarebbe terribile. È il punto di vista femminile: una reazione che hanno le donne per difendersi, quando sono deluse, quando le cose non vanno bene. Sebbene ci sia un po’ di tragicità nella storia a causa della passione, ho cercato di dare un taglio piuttosto leggero, è un film più emotivo che intellettuale: a volte si devono lambire i luoghi comuni.

 

Come è avvenuto per te il passaggio dall’architettura al cinema?
Fin da piccola ho amato il cinema: ho scoperto quello francese per poi passare a Hitchcock. Ho voluto seguire la mia passione lavorando gratis sui set, senza rimpianti. Mi piace quel cinema che lascia libera la macchina da presa.

 

Hai progetti per il futuro?
Mi piacerebbe fare un film da un libro. La letteratura è vasta e da un soggetto buono è facile realizzare una buona sceneggiatura. Mi piacerebbe girare una serie tv, quelle che si producono negli Usa sono molto interessanti.

 

Che cosa significa oggi fare cinema in Italia?
È una lotta: al cinema servono soldi e in Italia nessuno è interessato a investire sull’arte.I festival fanno da vetrina. Malgrado la fatica, si può fare ogni cosa, conta l’idea, per realizzarla basta un telefonino. Per cominciare un’esperienza all’estero non farebbe male...

 

Miriam – Il diario di Monica Castiglioni, lun 8 dicembre, ore 20.00, Spazio Oberdan

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